«La Calabria è un’immagine perfetta e ridotta dell’Italia: esprime l’Italia, così stretta tra due mari, e così costretta tra continue, aspre catene di monti…» così Mario Soldati nel 1977 dipingeva la lunga regione del sud nelle pagine del suo “Vino al Vino”.
E ancora oggi quasi 50 anni dopo percorrendo le Calabrie, al plurale per sottolinearne la complessità geomorfologica e culturale, è facile riconoscere nel viaggio di Soldati i contorni di questa trasposizione in scala.
Dei tanti areali è quello del Cirò che da qualche anno è spuntato sui banchi d’assaggio delle fiere più interessanti di settore (ad esempio NOT-vini franchi) e un po’ alla volta le etichette cirotane sono apparse sugli scaffali ripopolando di Calabria le enoteche.
Il fenomeno Cirò Revolution
Calabria: alla scoperta della Cirò “Revolution”. Lato orientale della regione, incastonata al centro della regione, la provincia crotonese è quella che custodisce le vigne di Cirò Marina: km di filari accolgono chi giunge da Nord e da Sud, una distesa di viti di Gaglioppo e di Greco Bianco e Nero, delimitate solo dal blu del mare.
Ed è proprio per le vie mediterranee, con la cultura greca che ancora pervade questa costa calabra, che è arrivata la coltura della vite e la vinificazione.
Un sapere antichissimo che è stato valorizzato nel 1969 con il disciplinare DOC e il Consorzio Vini Cirò e Melissa, un marchio che riunisce 56 cantine cirotane.
Ma Cirò Revolution è qualcosa di più di un brand. Lo spiega bene Mariangela Parrilla, parte attiva di questo gruppo unanime di produttori, una dozzina di viticoltori artigiani che ha in comune storie di rientro e di ritrovata consapevolezza.
Cirò Revolution è un movimento spontaneo, niente regole scritte, piuttosto un codice etico di valori condivisi
Mariangela Parrilla, Tenute del Conte
“Dieci anni fa avevo un consulente, un tecnico enologo che mi aiutava in cantina. Imbottigliavo un prodotto con tutti i parametri in ordine, perfetto. All’inizio mi fidavo molto, ma poi il rapporto è cambiato fino ad avere visioni opposte che hanno separato le nostre strade lavorative – racconta Parrilla, quarta generazione di vignaioli in Cirò – in realtà sono cambiata io e le aspettative che ho dal mio vino: ogni assaggio deve innanzi tutto rispecchiare l’annata, voglio ritrovare Cirò e sentire che vendemmia è stata. Una scelta indispensabile e scomoda che ha avuto come conseguenza una trasformazione aziendale”.
Mariangela insieme ai fratelli Giuseppe e Caterina guida la cantina Tenuta del Conte ereditata dal padre Francesco: quindici ettari di vigne condotte in regime biologico dal 2010.
Un reset, o meglio una rivoluzione, eccola una parte di quella ‘Revolution’ che ha cambiato Cirò restituendole l’identità agricola e rurale che appartiene da sempre a questo spicchio di Calabria.
Una storia personale e familiare che è abbastanza simile a quella di altri produttori della zona e ha a che fare con la franchezza, alla ricerca di quella diretta corrispondenza tra luogo e vino.
Anche per Assunta Dell’Aquila il contatto con le vigne dalle quali escono i suoi Vini dell’Aquila è stato un ritrovarsi, un agire di sottrazione. In meno e in meglio, lo spiega con un filo di voce Assunta: “Tutti hanno sempre fatto vino a Cirò, ma per uso e consumo familiare. Confrontarsi con i mercati e il grande pubblico ha ribaltato l’idea che avevamo di noi stessi: l’artigianalità e le piccole quantità non sono più un limite, ma abbiamo capito che è la nostra forza. Un motivo in più per il quale acquistare, degustare e scegliere di bere Cirò”.
Di segno ancora più estremo è l’esperienza di Christian Vumbaca classe 1980, fino a un paio di anni fa avvocato a Roma. Il richiamo delle vigne e dello stile di vita di provincia era sempre stato una costante, qualcosa della vita frenetica nella capitale non tornava. “Ogni volta che potevo tornavo a casa, ho sempre curato il vigneto, seguito vendemmie e vinificazioni – il ricordo è recente e Christian lo ripercorre senza esitazioni – fino a quando ho realizzato che era tutto ciò che volevo fare nella vita. E l’ho fatto”.
Mangiare e bere bene a Cirò: ‘A Casalura
Cirò Marina è un piccolo centro: tutti sanno chi è Peppe Pucci, lo chef che ha studiato in ALMA e che ha collezionato esperienze all’estero: tra Danimarca al Noma di Copenaghen, in Francia e USA, e poi di nuovo in Italia all’Osteria della Brughiera (1 stella Michelin) e da PECK a Milano.
Un giro immenso per tornare al focolare domestico. E rifondare l’attività di famiglia ‘A Casalura 4.0, un format che è più di una gastronomia e di un’enoteca. Tra di tavoli di ‘A Casalura il linguaggio è smarcato dalle sottigliezze del fine dining: la struttura larga e contadina della cucina calabrese offre portate più rustiche ma non meno complesse, appaganti, profonde.
Pucci è riconosciuto maestro delle conserve, quella con le sarde salate è un esercizio di precisione di sapidità.
Un tempio del gusto dove mangiare e bere cirotano: le etichette affollano le pareti e gli stessi produttori frequentano il locale che gode di un clima conviviale, uno spazio dove contano i sapori e la vera sostenibilità delle materie prime, curata e salvaguardata con sensibilità dallo stesso Pucci .
“L’intenzione è quella di far tornare nella memoria della gente il gusto dei nostri prodotti – precisa il ristoratore e ricercatore dei sapori Giuseppe Pucci – l’obiettivo è valorizzare ciò che mi circonda giornalmente, come l’orto e gli animali, la sarda salata: cibi che hanno una storia e che in cucina hanno un carattere forte”.
‘A Casalura è lo schema libero dove Pucci fa rivivere ricette tipiche e ingredienti di prossimità in un modo fresco e contemporaneo.
Vino e cibo a Cirò tornano ad avere una dimensione valoriale, un’etica che produce economia in una comunità orientata alla produzione e al benessere umano.
Indirizzo: ‘A Casalura Via Roma 184 – Cirò Marina (Kr) – contatti: lacasalura184@gmail.com – eshop conserve: www.acasalura.it – Cell: 3408617774
Per conoscere meglio i vini di Cirò: www.vinocalabrese.it